La condizione del tempo, in cui è racchiusa la breve durata della vita, resta l'unica via per l'uomo di raggiungere la sapientia; da qui la necessità di utilizzare al meglio il tempo dell'esistenza, che è l'unica cosa che ci appartiene, anche se effimera ed inafferrabile. La dimensione temporale, dunque, nell'arco della vita umana acquista un significato grandissimo per Seneca, perché diventa la testimonianza concreta del faticoso e lento progredire dell'uomo dalla stultitia alla sapientia. In questa prospettiva comprensibile appare il salto logico presente nel ragionamento di Seneca, al quale non interessa la durata della vita, perché, come dirà esplicitamente altrove, il sapiens non vive quanto può, ma quanto deve, disdegnando la quantità della vita e tenendone, invece, in gran conto la qualità. È evidente come in questo modo Seneca si liberi dalle strettoie del tempo e ne superi le barriere, in quanto una vita onesta non dipende dalla sua durata e perciò, aggiunge il filosofo, chi pensa che ogni giorno sia l'ultimo e vive secondo virtù, non ha bisogno del tempo ed è cosciente che nihil interesse inter diem et saeculum (epist. 101,9), sereno e pienamente soddisfatto di sé. Ed è proprio la virtus, attraverso la quale è possibile conseguire i beni eterni a prescindere dal tempo che si ha a disposizione, che consente all'individuo, che ha vissuto secondo i suoi canoni, di continuare a vivere anche dopo la morte, a differenza di chi ha lasciato semplicemente scorrere gli anni, che muore prima del tempo, prima che il suo corpo diventi un cadavere.
Cotidie cum vita paria faciamus (Sen. epist. 101,7)
LAUDIZI, Giovanni
2005-01-01
Abstract
La condizione del tempo, in cui è racchiusa la breve durata della vita, resta l'unica via per l'uomo di raggiungere la sapientia; da qui la necessità di utilizzare al meglio il tempo dell'esistenza, che è l'unica cosa che ci appartiene, anche se effimera ed inafferrabile. La dimensione temporale, dunque, nell'arco della vita umana acquista un significato grandissimo per Seneca, perché diventa la testimonianza concreta del faticoso e lento progredire dell'uomo dalla stultitia alla sapientia. In questa prospettiva comprensibile appare il salto logico presente nel ragionamento di Seneca, al quale non interessa la durata della vita, perché, come dirà esplicitamente altrove, il sapiens non vive quanto può, ma quanto deve, disdegnando la quantità della vita e tenendone, invece, in gran conto la qualità. È evidente come in questo modo Seneca si liberi dalle strettoie del tempo e ne superi le barriere, in quanto una vita onesta non dipende dalla sua durata e perciò, aggiunge il filosofo, chi pensa che ogni giorno sia l'ultimo e vive secondo virtù, non ha bisogno del tempo ed è cosciente che nihil interesse inter diem et saeculum (epist. 101,9), sereno e pienamente soddisfatto di sé. Ed è proprio la virtus, attraverso la quale è possibile conseguire i beni eterni a prescindere dal tempo che si ha a disposizione, che consente all'individuo, che ha vissuto secondo i suoi canoni, di continuare a vivere anche dopo la morte, a differenza di chi ha lasciato semplicemente scorrere gli anni, che muore prima del tempo, prima che il suo corpo diventi un cadavere.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.