La categoria dei fondi flessibili costituisce un eccellente banco di prova per sottoporre a verifica empirica due ipotesi tipiche della letteratura in materia di valutazione della performance del risparmio gestito. La prima ipotesi concerne la capacità dei gestori attivi di generare extra- rendimenti positivi rispetto ad opportuni parametri di riferimento, mentre la seconda riguarda l’utilità di prevedere una remunerazione variabile legata al raggiungimento di una determinata performance. Il campione preso a riferimento per rispondere alle research questions appare particolarmente adatto in quanto la categoria dei fondi flessibili è stata istituita da Assogestioni all’inizio del 1999 in risposta all’obbligo introdotto dalla Consob di dichiarare all’interno del prospetto informativo il parametro oggettivo di riferimento degli strumenti di investimento collettivo del risparmio. Tale obbligo derivava dalla forte convinzione che “una gestione di portafoglio non ha significato se non con riferimento ad un obiettivo riferito al portafoglio di mercato oppure a qualsiasi combinazione rispondente agli obiettivi dell’investitore” e pertanto in questa prospettiva “il benchmark è (..) un elemento essenziale di trasparenza, di identificazione degli obiettivi del cliente, di guida al gestore per la scelta dei singoli investimenti, di valutazione ex post dei risultati” (Onado, 1997). La reazione degli operatori all’obbligo di indicazione del parametro di riferimento, paventando il rischio di un appiattimento dei gestori attivi sugli indici di mercato, portò alla richiesta di istituzione della categoria dei fondi flessibili che nelle intenzioni dei proponenti avrebbero rappresentato lo strumento a disposizione delle società di gestione per esprimere pienamente le proprie abilità gestionali senza subire alcun condizionamento da parte del benchmark, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione del portafoglio su specifiche classi di attività . A distanza di dieci anni dall’istituzione dei fondi flessibili è pertanto possibile effettuare un primo bilancio circa l’effettiva capacità dei gestori di dimostrare le proprie abilità di movimentazione del portafoglio, avendo peraltro potuto beneficiare di un periodo storico in cui sia il mercato azionario che quello obbligazionario hanno sperimentato andamenti particolarmente adatti all’adozione di politiche di asset allocation tattica.
La performance dei fondi comuni e le commissioni di incentivo: il caso dei fondi flessibili
CUCURACHI, Paolo Antonio
2009-01-01
Abstract
La categoria dei fondi flessibili costituisce un eccellente banco di prova per sottoporre a verifica empirica due ipotesi tipiche della letteratura in materia di valutazione della performance del risparmio gestito. La prima ipotesi concerne la capacità dei gestori attivi di generare extra- rendimenti positivi rispetto ad opportuni parametri di riferimento, mentre la seconda riguarda l’utilità di prevedere una remunerazione variabile legata al raggiungimento di una determinata performance. Il campione preso a riferimento per rispondere alle research questions appare particolarmente adatto in quanto la categoria dei fondi flessibili è stata istituita da Assogestioni all’inizio del 1999 in risposta all’obbligo introdotto dalla Consob di dichiarare all’interno del prospetto informativo il parametro oggettivo di riferimento degli strumenti di investimento collettivo del risparmio. Tale obbligo derivava dalla forte convinzione che “una gestione di portafoglio non ha significato se non con riferimento ad un obiettivo riferito al portafoglio di mercato oppure a qualsiasi combinazione rispondente agli obiettivi dell’investitore” e pertanto in questa prospettiva “il benchmark è (..) un elemento essenziale di trasparenza, di identificazione degli obiettivi del cliente, di guida al gestore per la scelta dei singoli investimenti, di valutazione ex post dei risultati” (Onado, 1997). La reazione degli operatori all’obbligo di indicazione del parametro di riferimento, paventando il rischio di un appiattimento dei gestori attivi sugli indici di mercato, portò alla richiesta di istituzione della categoria dei fondi flessibili che nelle intenzioni dei proponenti avrebbero rappresentato lo strumento a disposizione delle società di gestione per esprimere pienamente le proprie abilità gestionali senza subire alcun condizionamento da parte del benchmark, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione del portafoglio su specifiche classi di attività . A distanza di dieci anni dall’istituzione dei fondi flessibili è pertanto possibile effettuare un primo bilancio circa l’effettiva capacità dei gestori di dimostrare le proprie abilità di movimentazione del portafoglio, avendo peraltro potuto beneficiare di un periodo storico in cui sia il mercato azionario che quello obbligazionario hanno sperimentato andamenti particolarmente adatti all’adozione di politiche di asset allocation tattica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.