L’indagine si colloca nel solco dell’idea-chiave, propugnata da autorevoli maestri del diritto amministrativo ma avversata da parte della dottrina recente, secondo cui il procedimento amministrativo manifesta una naturale attrazione verso il modello controversiale del processo. Il contributo tenta di declinare il paragone tra procedimento e processo rispetto ad uno specifico problema: l’an e il quomodo dell’obbligo di provvedere (del pubblico potere) su domande (del cittadino) che possano apparire, almeno prima facie, «inammissibili» o «manifestamente infondate». Assumendo una posizione critica rispetto allo status quo dottrinale e giurisprudenziale, il contributo prospetta ed argomenta la seguente tesi: - con riferimento tanto al processo giurisdizionale quanto al procedimento amministrativo, ad ogni domanda (fondata, infondata, inammissibile, manifestamente infondata, manifestamente inammissibile) deve corrispondere comunque un obbligo di provvedere da parte del pubblico potere (sia esso impersonato dal giudice o dalla pubblica amministrazione); - l’obbligo di provvedere a fronte della domanda è inderogabile e comporta la necessaria apertura del procedimento (processo giurisdizionale o procedimento amministrativo) da parte del pubblico potere; - il procedimento aperto dalla proposizione della domanda è retto dai principi fondamentali del contraddittorio, della partecipazione, della trasparenza, il che implica, nel caso del procedimento amministrativo, il rispetto delle disposizioni di garanzia dettate dalla L. 241/1990; - il procedimento amministrativo (come il processo per il giudice) è l’unica ‘forma di giudizio’ cui l’ordinamento giuridico riconosca validità ai fini della valutazione, da parte della p.a., dell’ammissibilità e della fondatezza (manifeste o meno) della domanda del cittadino; - pertanto, fuori dal procedimento e prima del procedimento la p.a. non può legittimamente presumere l’inaccoglibilità a priori della domanda, né presupporre una sorta di indegnità della medesima a formare oggetto di vaglio procedimentale ad opera del potere pubblico; - il procedimento amministrativo, doverosamente avviato a seguito della domanda del cittadino, non deve tuttavia necessariamente concludersi, parafrasando il lessico processualistico, con un provvedimento di merito a cognizione piena; - il procedimento, infatti, può anche chiudersi anticipatamente con un provvedimento negativo di rito, ove la p.a. rilevi l’inammissibilità o l’improcedibilità della domanda, senza entrare nel merito della pretesa sostanziale; - in alternativa, il procedimento può concludersi con un provvedimento negativo di merito ma a cognizione semplificata, allorquando la p.a. rilevi un livello di infondatezza sostanziale della pretesa del cittadino talmente manifesto da giustificare un’istruttoria più rapida e snella ed una motivazione più stringata rispetto all’ordinarietà dei casi; - l’atto conclusivo del procedimento amministrativo non muta la sua qualificazione giuridica di «provvedimento» per il fatto di avere ad oggetto, anziché (1) l’accertamento dell’infondatezza non manifesta della domanda, (2) l’accertamento dell’infondatezza manifesta della stessa o (3) l’accertamento dell’inammissibilità della domanda per carenza di presupposti di legittimazione, di forma o di procedura; - in tutti tre i casi sub (1), (2) e (3), infatti, vi è comunque una decisione di segno negativo della p.a. circa la domanda, con cui l’amministrazione adempie all’obbligo di provvedere imposto dall’art. 2 della L. 241/1990 e, disponendo il rigetto (sotto il profilo procedurale o sostanziale) della domanda, sbarra al cittadino la strada per il conseguimento del bene della vita cui lo stesso aspira; - se così è, a prescindere dal fatto che il provvedimento negativo si ascriva alla fattispecie sub (1) o a quelle sub (2) e (3), il cittadino non può essere espropriato né, a valle, dei propri diritti di reazione giurisdizionale avverso la decisione negativa una volta emessa, né, a monte, dei propri diritti partecipativi rispetto al procedimento amministrativo propedeutico all’adozione della decisione negativa; proprio per questo, il procedimento amministrativo deve sempre essere avviato e celebrato dalla p.a. che riceva una domanda di provvedimento da parte di un cittadino, senza eccezioni o deroghe che dipendano da un’arbitraria prognosi pre-procedimentale circa il contenuto del provvedimento finale.
Sul processo come schema di interpretazione del procedimento: l’obbligo di provvedere su domande «inammissibili» o «manifestamente infondate»
MONTEDURO, MASSIMO
2010-01-01
Abstract
L’indagine si colloca nel solco dell’idea-chiave, propugnata da autorevoli maestri del diritto amministrativo ma avversata da parte della dottrina recente, secondo cui il procedimento amministrativo manifesta una naturale attrazione verso il modello controversiale del processo. Il contributo tenta di declinare il paragone tra procedimento e processo rispetto ad uno specifico problema: l’an e il quomodo dell’obbligo di provvedere (del pubblico potere) su domande (del cittadino) che possano apparire, almeno prima facie, «inammissibili» o «manifestamente infondate». Assumendo una posizione critica rispetto allo status quo dottrinale e giurisprudenziale, il contributo prospetta ed argomenta la seguente tesi: - con riferimento tanto al processo giurisdizionale quanto al procedimento amministrativo, ad ogni domanda (fondata, infondata, inammissibile, manifestamente infondata, manifestamente inammissibile) deve corrispondere comunque un obbligo di provvedere da parte del pubblico potere (sia esso impersonato dal giudice o dalla pubblica amministrazione); - l’obbligo di provvedere a fronte della domanda è inderogabile e comporta la necessaria apertura del procedimento (processo giurisdizionale o procedimento amministrativo) da parte del pubblico potere; - il procedimento aperto dalla proposizione della domanda è retto dai principi fondamentali del contraddittorio, della partecipazione, della trasparenza, il che implica, nel caso del procedimento amministrativo, il rispetto delle disposizioni di garanzia dettate dalla L. 241/1990; - il procedimento amministrativo (come il processo per il giudice) è l’unica ‘forma di giudizio’ cui l’ordinamento giuridico riconosca validità ai fini della valutazione, da parte della p.a., dell’ammissibilità e della fondatezza (manifeste o meno) della domanda del cittadino; - pertanto, fuori dal procedimento e prima del procedimento la p.a. non può legittimamente presumere l’inaccoglibilità a priori della domanda, né presupporre una sorta di indegnità della medesima a formare oggetto di vaglio procedimentale ad opera del potere pubblico; - il procedimento amministrativo, doverosamente avviato a seguito della domanda del cittadino, non deve tuttavia necessariamente concludersi, parafrasando il lessico processualistico, con un provvedimento di merito a cognizione piena; - il procedimento, infatti, può anche chiudersi anticipatamente con un provvedimento negativo di rito, ove la p.a. rilevi l’inammissibilità o l’improcedibilità della domanda, senza entrare nel merito della pretesa sostanziale; - in alternativa, il procedimento può concludersi con un provvedimento negativo di merito ma a cognizione semplificata, allorquando la p.a. rilevi un livello di infondatezza sostanziale della pretesa del cittadino talmente manifesto da giustificare un’istruttoria più rapida e snella ed una motivazione più stringata rispetto all’ordinarietà dei casi; - l’atto conclusivo del procedimento amministrativo non muta la sua qualificazione giuridica di «provvedimento» per il fatto di avere ad oggetto, anziché (1) l’accertamento dell’infondatezza non manifesta della domanda, (2) l’accertamento dell’infondatezza manifesta della stessa o (3) l’accertamento dell’inammissibilità della domanda per carenza di presupposti di legittimazione, di forma o di procedura; - in tutti tre i casi sub (1), (2) e (3), infatti, vi è comunque una decisione di segno negativo della p.a. circa la domanda, con cui l’amministrazione adempie all’obbligo di provvedere imposto dall’art. 2 della L. 241/1990 e, disponendo il rigetto (sotto il profilo procedurale o sostanziale) della domanda, sbarra al cittadino la strada per il conseguimento del bene della vita cui lo stesso aspira; - se così è, a prescindere dal fatto che il provvedimento negativo si ascriva alla fattispecie sub (1) o a quelle sub (2) e (3), il cittadino non può essere espropriato né, a valle, dei propri diritti di reazione giurisdizionale avverso la decisione negativa una volta emessa, né, a monte, dei propri diritti partecipativi rispetto al procedimento amministrativo propedeutico all’adozione della decisione negativa; proprio per questo, il procedimento amministrativo deve sempre essere avviato e celebrato dalla p.a. che riceva una domanda di provvedimento da parte di un cittadino, senza eccezioni o deroghe che dipendano da un’arbitraria prognosi pre-procedimentale circa il contenuto del provvedimento finale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.