Il dibattito sul persistente divario di sviluppo del Mezzogiorno e sulle sue cause ha sperimentato in quest’ultimo periodo un rinnovato interesse, in concomitanza con le analisi storiche promosse in occasione delle ricorrenze sulla nascita dello Stato unitario, oltre che nell’ambito più generale della definizione delle scelte di politica economica. I ritardi accumulati dalle regioni meridionali sono, nell’opinione unanime, tali da determinare riflessi sfavorevoli e non sostenibili se proiettati sul piano della complessiva crescita economica e sociale del Paese. In tale quadro, molte delle recenti analisi pongono maggiore attenzione sulle possibili modalità di sviluppo della diffusa imprenditorialità caratterizzante alcune aree del Mezzogiorno, sia pur rappresentata in massima parte da imprese di modeste dimensioni, sottocapitalizzate e con una carente propensione a sviluppare necessari percorsi di aggregazione. Sullo sfondo, invece, rimangono gli studi interessati ad analizzare il peso della grande impresa presente nei poli industriali del Mezzogiorno, scontando, forse, un pregiudizio che tende ad inquadrare il fenomeno della grande dimensione come eredità di passate scelte di politica industriale, che non ha saputo incidere sulla promozione della capacità imprenditoriale di contesto e non ha avuto la forza di modificare gli assetti sociali delle aree interessate. Tra l’altro, la controversia, lungi dall’esaurirsi in contrapposte tesi accademiche, presenta una forte valenza normativa se si guarda all’obbligo di definire le premesse necessarie per orientare le concrete scelte di utilizzo delle risorse, nazionali e comunitarie, destinabili a favorire gli insediamenti industriali ed i processi di ristrutturazione. In questa prospettiva, sembra appropriato ripercorrere alcuni tratti dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Lo strumento utilizzato per trasferire nel Mezzogiorno la capacità produttiva di alcuni settori fondamentali per lo sviluppo del Paese (siderurgia, energia, automotive, ecc.) fu l’impresa a partecipazione statale che ebbe un ruolo di grande significato anche nella diffusione di moderne prassi organizzative e gestionali. Invero, l’esperienza dell’impresa a partecipazione statale nel processo di industrializzazione dei primi decenni che seguirono la fine della guerra può essere letta sotto molteplici angolature, non da ultima quella più propriamente aziendalistica, tesa ad evidenziarne le modalità di governo e la rispondenza ai principi economico-aziendali nel corso della sua evoluzione. In questa sede, tenendo conto delle premesse formulate, si farà riferimento alle imprese del settore siderurgico ed in particolare alla nascita ed alla successiva evoluzione del cosiddetto IV Centro siderurgico di Taranto, stabilimento che assorbì in massima parte la produzione di acciaio dell’Italsider, una delle più importanti imprese a partecipazione statale.

L’impresa a partecipazione statale nel processo di industrializzazione del Mezzogiorno. Il Caso del IV Centro siderurgico di Taranto

GIACCARI, Francesco;IMPERIALE, Francesca;FASIELLO, Roberta
2011-01-01

Abstract

Il dibattito sul persistente divario di sviluppo del Mezzogiorno e sulle sue cause ha sperimentato in quest’ultimo periodo un rinnovato interesse, in concomitanza con le analisi storiche promosse in occasione delle ricorrenze sulla nascita dello Stato unitario, oltre che nell’ambito più generale della definizione delle scelte di politica economica. I ritardi accumulati dalle regioni meridionali sono, nell’opinione unanime, tali da determinare riflessi sfavorevoli e non sostenibili se proiettati sul piano della complessiva crescita economica e sociale del Paese. In tale quadro, molte delle recenti analisi pongono maggiore attenzione sulle possibili modalità di sviluppo della diffusa imprenditorialità caratterizzante alcune aree del Mezzogiorno, sia pur rappresentata in massima parte da imprese di modeste dimensioni, sottocapitalizzate e con una carente propensione a sviluppare necessari percorsi di aggregazione. Sullo sfondo, invece, rimangono gli studi interessati ad analizzare il peso della grande impresa presente nei poli industriali del Mezzogiorno, scontando, forse, un pregiudizio che tende ad inquadrare il fenomeno della grande dimensione come eredità di passate scelte di politica industriale, che non ha saputo incidere sulla promozione della capacità imprenditoriale di contesto e non ha avuto la forza di modificare gli assetti sociali delle aree interessate. Tra l’altro, la controversia, lungi dall’esaurirsi in contrapposte tesi accademiche, presenta una forte valenza normativa se si guarda all’obbligo di definire le premesse necessarie per orientare le concrete scelte di utilizzo delle risorse, nazionali e comunitarie, destinabili a favorire gli insediamenti industriali ed i processi di ristrutturazione. In questa prospettiva, sembra appropriato ripercorrere alcuni tratti dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Lo strumento utilizzato per trasferire nel Mezzogiorno la capacità produttiva di alcuni settori fondamentali per lo sviluppo del Paese (siderurgia, energia, automotive, ecc.) fu l’impresa a partecipazione statale che ebbe un ruolo di grande significato anche nella diffusione di moderne prassi organizzative e gestionali. Invero, l’esperienza dell’impresa a partecipazione statale nel processo di industrializzazione dei primi decenni che seguirono la fine della guerra può essere letta sotto molteplici angolature, non da ultima quella più propriamente aziendalistica, tesa ad evidenziarne le modalità di governo e la rispondenza ai principi economico-aziendali nel corso della sua evoluzione. In questa sede, tenendo conto delle premesse formulate, si farà riferimento alle imprese del settore siderurgico ed in particolare alla nascita ed alla successiva evoluzione del cosiddetto IV Centro siderurgico di Taranto, stabilimento che assorbì in massima parte la produzione di acciaio dell’Italsider, una delle più importanti imprese a partecipazione statale.
2011
9788866590002
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