La dimensione multidisciplinare e multiprospettica dello spatial turn nell’area delle humanities (Wart, Arias 2009) ha generato dibattiti rilevanti anche nell’ambito dei Television Studies, seguendo differenti linee di riflessione e di ricerca: spazio come estensione di una nuova ontologia ecosistemica della serialità televisiva (Pescatore, Innocenti 2014 e 2017; Pescatore 2018; Brembilla e De Pascalis 2018); spazio come location (Waade 2017); spazio come ambiente che porta un contributo alla narrazione seriale (Bernardelli 2018). In questo intervento intendiamo ragionare in termini estetologici sullo spazio nella serialità televisiva, isolando un particolare oggetto spaziale: il paesaggio. In questo frame teorico, il paesaggio non è in alcun modo un sinonimo di natura, ambiente o location: è un oggetto specifico che esiste in funzione di uno sguardo filtrato da un medium, è “natura percepita attraverso una cultura” (D’Angelo 2010: 13); è, in altri termini, l’esito di un processo trasformativo che opera mediante l’inquadratura (Jakob 2009). Il problema teorico del paesaggio nelle narrazioni audiovisive è stato spesso affrontato evidenziando la costante tensione tra l’intenzionalità narrativa (che produce un ambiente) e l’intenzionalità contemplativa (che produce un paesaggio). In tal senso prenderemo in esame una tendenza selettiva che opera in base a un criterio anti-funzionalista: “As long as natural space in a work is subservient to characters, events and action, as long as its function is to provide space for them, the work is not properly speaking a landscape” (Lefebvre 2011: 64). Ci chiederemo dunque come funziona questo processo selettivo-trasformativo nell’ambito delle serie televisive, intese come narrazioni cumulative, suddivise in episodi e stagioni.

Contemplare le stagioni. Il paesaggio nella serialità televisiva contemporanea

bandirali
2022-01-01

Abstract

La dimensione multidisciplinare e multiprospettica dello spatial turn nell’area delle humanities (Wart, Arias 2009) ha generato dibattiti rilevanti anche nell’ambito dei Television Studies, seguendo differenti linee di riflessione e di ricerca: spazio come estensione di una nuova ontologia ecosistemica della serialità televisiva (Pescatore, Innocenti 2014 e 2017; Pescatore 2018; Brembilla e De Pascalis 2018); spazio come location (Waade 2017); spazio come ambiente che porta un contributo alla narrazione seriale (Bernardelli 2018). In questo intervento intendiamo ragionare in termini estetologici sullo spazio nella serialità televisiva, isolando un particolare oggetto spaziale: il paesaggio. In questo frame teorico, il paesaggio non è in alcun modo un sinonimo di natura, ambiente o location: è un oggetto specifico che esiste in funzione di uno sguardo filtrato da un medium, è “natura percepita attraverso una cultura” (D’Angelo 2010: 13); è, in altri termini, l’esito di un processo trasformativo che opera mediante l’inquadratura (Jakob 2009). Il problema teorico del paesaggio nelle narrazioni audiovisive è stato spesso affrontato evidenziando la costante tensione tra l’intenzionalità narrativa (che produce un ambiente) e l’intenzionalità contemplativa (che produce un paesaggio). In tal senso prenderemo in esame una tendenza selettiva che opera in base a un criterio anti-funzionalista: “As long as natural space in a work is subservient to characters, events and action, as long as its function is to provide space for them, the work is not properly speaking a landscape” (Lefebvre 2011: 64). Ci chiederemo dunque come funziona questo processo selettivo-trasformativo nell’ambito delle serie televisive, intese come narrazioni cumulative, suddivise in episodi e stagioni.
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