La provvisorietà, cui si associa l’elogio della rinascita e della capacità di reinventarsi, è data, in prima istanza, dalla nuova morfologia del lavoro e dalla sua crescente immaterialità, dalla nuova piramide sociale del mondo del lavoro (Antunes, 2015) che, a un vertice ultra- qualificato, oppone una base in cui sono in costante crescita l’in- formalità, la precarizzazione e la disoccupazione; nel mezzo, una fascia mobile, destinata a scomparire con le intermittenze del mercato e delle tecnologie, qualificata a tempo (Harari, 2019). Mentre il vertice, globalizzato, universale, gode appieno del diritto al movimento, la maggioranza della popolazione vi è costretta, senza attingere ai benefici: la relazione con il territorio invece ne è depauperata, l’agentività dei soggetti appare sempre più circoscritta o, per reazione, si ingenerano fenomeni di distacco volontario dal mondo del lavoro, in una linea discontinua che non connette più mezzi di sostentamento e tempo del lavoro, professionalità e fisionomia socioeconomica. Il presente contributo si propone di esplorare la linea d’ombra che si disegna tra l’apologia dell’individuo in movimento, l’homo mobilis, e la possibilità di permanenza di comunità politiche, durevoli: di fronte alla nuova pedagogia della flessibilità (Michéa, 2014) che viene imposta, ci si interroga sui reali confini del libero arbitrio e sulle possibilità di recupero della dimensione sociale/lavorativa come elemento fondante dei processi di costruzione del sé e di rappresentazione dell’altro.
Curre et labora. Tra precarizzazione e pedagogia della flessibilità: chi vive di lavoro?
Del Gottardo, Ezio
2024-01-01
Abstract
La provvisorietà, cui si associa l’elogio della rinascita e della capacità di reinventarsi, è data, in prima istanza, dalla nuova morfologia del lavoro e dalla sua crescente immaterialità, dalla nuova piramide sociale del mondo del lavoro (Antunes, 2015) che, a un vertice ultra- qualificato, oppone una base in cui sono in costante crescita l’in- formalità, la precarizzazione e la disoccupazione; nel mezzo, una fascia mobile, destinata a scomparire con le intermittenze del mercato e delle tecnologie, qualificata a tempo (Harari, 2019). Mentre il vertice, globalizzato, universale, gode appieno del diritto al movimento, la maggioranza della popolazione vi è costretta, senza attingere ai benefici: la relazione con il territorio invece ne è depauperata, l’agentività dei soggetti appare sempre più circoscritta o, per reazione, si ingenerano fenomeni di distacco volontario dal mondo del lavoro, in una linea discontinua che non connette più mezzi di sostentamento e tempo del lavoro, professionalità e fisionomia socioeconomica. Il presente contributo si propone di esplorare la linea d’ombra che si disegna tra l’apologia dell’individuo in movimento, l’homo mobilis, e la possibilità di permanenza di comunità politiche, durevoli: di fronte alla nuova pedagogia della flessibilità (Michéa, 2014) che viene imposta, ci si interroga sui reali confini del libero arbitrio e sulle possibilità di recupero della dimensione sociale/lavorativa come elemento fondante dei processi di costruzione del sé e di rappresentazione dell’altro.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
METIS.pdf
accesso aperto
Tipologia:
Versione editoriale
Note: Licenza dichiarata sul sito della rivista: CC BY-NC-ND 3.0 IT
Licenza:
PUBBLICO - Creative Commons 3.0
Dimensione
337.37 kB
Formato
Adobe PDF
|
337.37 kB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.