Il Salento, oggi luogo di itinerari turistici, fu indicato da Fénelon ne Les aventures de Télémaque (1699) e poi da Robespierre, durante la Rivoluzione, come l’utopia della possibile e rapida trasformazione di un governo dispotico in città ideale, con il solo aiuto delle buone leggi e del buon governo. Il saggio mostra come nel Seicento una nuova concezione della storia come scienza nuova, basata sul documento e non sulla memoria, avesse cancellato di fatto le azioni, le leggi e la società colta promosse nella prima metà del Quattrocento dalla contessa di Lecce Maria D’Enghien e poi dalla nuora questa, Anna Colonna. Contro la revisione che nel Cinquecento strutturò la costruzione patriarcale delle istituzioni e dello Stato, sempre più orientato esplicitamente verso l’assolutismo, la narrazione utopica consentiva una sorta di distanziamento e di trasformazione che, agendo sulla memoria e non sul documento, sull’immagine e non sulla testimonianza, permetteva ugualmente di recuperare il passato e preparare il futuro evocando antichi comportamenti virtuosi. Di fronte alla disaffezione del presente e di fronte alla forte attesa di un futuro diverso, il racconto utopico non vuole un ritorno al tempo del mito, non anticipa un momento escatologico, non scava un fossato per separare presente futuro, non separa la storia dalla memoria, non pronostica la salvezza: ha il pudore di raccontarsi come avventura.
Il tempo non lineare dell’utopia
Marisa Forcina
2019-01-01
Abstract
Il Salento, oggi luogo di itinerari turistici, fu indicato da Fénelon ne Les aventures de Télémaque (1699) e poi da Robespierre, durante la Rivoluzione, come l’utopia della possibile e rapida trasformazione di un governo dispotico in città ideale, con il solo aiuto delle buone leggi e del buon governo. Il saggio mostra come nel Seicento una nuova concezione della storia come scienza nuova, basata sul documento e non sulla memoria, avesse cancellato di fatto le azioni, le leggi e la società colta promosse nella prima metà del Quattrocento dalla contessa di Lecce Maria D’Enghien e poi dalla nuora questa, Anna Colonna. Contro la revisione che nel Cinquecento strutturò la costruzione patriarcale delle istituzioni e dello Stato, sempre più orientato esplicitamente verso l’assolutismo, la narrazione utopica consentiva una sorta di distanziamento e di trasformazione che, agendo sulla memoria e non sul documento, sull’immagine e non sulla testimonianza, permetteva ugualmente di recuperare il passato e preparare il futuro evocando antichi comportamenti virtuosi. Di fronte alla disaffezione del presente e di fronte alla forte attesa di un futuro diverso, il racconto utopico non vuole un ritorno al tempo del mito, non anticipa un momento escatologico, non scava un fossato per separare presente futuro, non separa la storia dalla memoria, non pronostica la salvezza: ha il pudore di raccontarsi come avventura.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.